Sorbo selvatico (Luis)

28.10.2021 16:37

Sorbo selvatico (Luis)

 

Il sorbo è un albero che cresce fino a notevole altitudine, pur assumendo un aspetto di cespuglio quando spunta oltre i mille metri. Le sue bacche rosse sono una leccornia per gli uccelli e in passato venivano usate come esca per catturarli. Da qui il nome scientifico di Sorbus aucuparia, derivato dal verbo aucupor che significa “dar la caccia agli uccelli”. Il sorbo viene chiamato “albero della vita” ed è conosciuto anche con il nome di sorbo degli uccellatori, sorbo rosso o frassino di montagna europeo. Il sorbo selvatico è l’albero del ritorno in vita e del risveglio. Il termine gaelico Luis con cui si definisce il sorbo rosso, oltre al significato di “mano”, “ramo”, “mantello” e “puro”, viene tradotto con “fiamma”, come attesta l’Ogham di Moran Mac Main contenuto nel Libro di Ballymotte che ne dà la definizione poetica di “delizia dell’occhio”. Questo suo legame con il fuoco è da intendersi nel senso di “albero di potere”, il cui impiego in ambito magico è notevole. Nel Romanzo di Diarmuid e Grainne le sue bacche rosse, le mele e le noci rosse sono dette “cibo degli dèi”. Il sorbo aveva molte proprietà e veniva adoperato per differenti usi. Con la corteccia si tingevano i tessuti e si conciavano le pelli e con il suo legno flessibile e resistente si ottenevano piccoli oggetti e utensili, ma anche archi da tiro, alternando l’uso del sorbo a quello del lagno ti tasso. In Francia fino al XV secolo il sorbo veniva chiamato corme e pare che le sue bacche fatte fermentare insieme al grano dessero una specie di birra che in Gallia veniva detta cormé-Korma (in gaelico cuirm), più simile al sidro o all’idromele che alla birra vera e propria. È un albero considerato magico e si riteneva in grado di poter essere adoperato per fare potenti incantesimi, appartenendo alla categoria dei “sette alberi signori” dell’Ogham. In Irlanda i Filid ne facevano uso durante un rituale di ispirazione e veggenza. Essi intrecciavano una stuoia con alcuni rami di sorbo vi si sedevano e procedevano a un raccoglimento interiore per spostare la propria coscienza in uno stato di calma silenziosa, così da poter avere illuminazioni e visioni. Pare che anche le bacche avessero qualità simili, come testimoniato da diverse leggende celtiche in cui il veggente usava nove bacche in modo da ottenere la risposta a una domanda. Nel racconto Il miele delle api selvatiche vi è una descrizione dell’uso delle bacche di sorbo per questo tipo di oracolo. Si narra che un Filid di nome Borbaran prese nove piccole bacche rosse di sorbo e ne gettò tre al lupo bianco gridando: “io ti impongo un incantesimo per la tua antica saggezza”. Tre le gettò nell’aria sopra le sua testa e gridò: “piangi nebbia, o vento” e tre le mise in bocca mormorando: “che da lui dell’albero di nocciolo e attraverso il salmone della conoscenza la visione venga a me”. In questa storia sono celati sotto forma di simboli i tre livelli su cui lavorare per raggiungere la conoscenza interiore. Un’altra leggenda Irlandese, quella del Tàin Bò Fraoch (la Razzia del bestiame di Fraoch), riporta che le bacche di un sorbo magico erano custodite da un drago. Il loro consumo equivaleva alla capacità nutritiva di nove pasti e aggiungeva un anno di vita all’uomo che se ne cibava. Le qualità del sorbo come albero magico e fonte di incantesimi sono attestate in Irlanda per l’uso che ne facevano i Celti quando, per esempio, due eserciti si fronteggiavano e i Druidi degli opposti schieramenti accendevano un fuoco di rami di sorbo e vi recitavano sopra incantesimi per chiamare a raccolta gli spiriti e farli partecipare al combattimento. Dal legno di sorbo (ma anche da quello di nocciolo) i Druidi ricavavano le loro bacchette magiche o “bacchette di potere” e anticamente era da esso che si otteneva la bacchetta rabdomantica che serviva per trovare i metalli, conosciuta con il nome “mano di strega”. Tuttavia il sorbo è conosciuto per le sue qualità di protezione magica contro le negatività, gli incantesimi nefasti, le stregonerie, le azioni dispettose degli esseri fatati, le cadute del “fuoco dal cielo” (il fulmine). Il legno più efficace era considerato quello del sorbo volante, cioè quello dell’albero le cui radici non fossero cresciute nel terreno ma in una spaccatura della roccia, come spesso accade in montagna, o sui rami di un altro albero.

 

Tratto dal libro "Il vischio e la quercia"