LA MALATTIA E’ UNA VIA CHE CONDUCE ALLA PERFEZIONE - prima parte

09.08.2014 21:13

L’uomo come microcosmo è un’immagine dell’universo e contiene la somma di tutti i principi di esistenza latenti nella propria coscienza. Il cammino dell’uomo attraverso la polarità (bene/male, bello/brutto, giusto/sbagliato) richiede che egli realizzi concretamente i principi latenti in lui, in modo da prenderne gradualmente coscienza. La conoscenza però ha bisogno della polarità e questa costringe di nuovo l’uomo a prendere continuamente delle decisioni. Ogni decisione spezza la polarità in un polo che viene accettato e in un polo che viene rifiutato (questo crea la causa principale della malattia, la divisione dell’uomo nella polarità a discapito dell’unione totale del tutto). Io polo accettato viene trasformato in comportamento e quindi integrato a livello cosciente. Il polo rifiutato finisce nell’ombra e continua a richiedere tutta la nostra attenzione, in quanto sembra ritornare in noi venendo dall’esterno. Una forma specifica e frequente di questa legge generale è la malattia. In essa una parte di ombra precipita nella corporeità e si somatizza come sintomo. Il sintomo ci costringe a realizzare attraverso il corpo il principio non accettato volontariamente e riporta quindi l’uomo in equilibrio. Il sintomo è la condensazione somatica di ciò che manca alla coscienza. Il sintomo rende l’uomo onesto perché rende visibili i contenuti repressi.

Ma così facendo, l’uomo assegna inevitabilmente e contemporaneamente il significato di “bene” (o giusto) al polo che accetta e “male” (o sbagliato) a quello che rifiuta. Se è stato individuato nella malattia il campo d’azione dell’ombra, questa deve la sua esistenza al fatto che l’uomo ha deciso tra bene e male, tra giusto e sbagliato. L’ombra contiene tutto quello che l’uomo ha ritenuto “cattivo”, e di conseguenza anche l’ombra deve essere “cattiva”. Sembra quindi non solo giustificato ma anche eticamente e moralmente necessario combattere e distruggere l’ombra in qualunque modo e situazione essa si manifesti. Ma le considerazioni sulla legge di polarità portano alla conseguenza che bene e male sono due aspetti di una stessa unità e legati l’uno all’altro per poter esistere. Il bene vive nel male e il male nel bene, chi nutre intenzionalmente il bene, nutre inconsapevolmente anche i male (ottimale la rappresentazione del TAO per rappresentare questo pensiero). Ma l’atteggiamento nei confronti del bene e del male è fortemente influenzato nella nostra cultura dalla teologia cristiana, e questo vale anche per chi si ritiene libero da influenzamenti religiosi.

Molto adatto a spiegare questo condizionamento è la rappresentazione che l’Antico Testamento fa del peccato originale. Nel racconto della creazione si legge che il primo uomo (androgino) Adamo, viene posto nel giardino dell’Eden, di cui tra i tanti alberi sono menzionati l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. Si sottolinea il fatto che, nel racconto, Adamo è ANDROGINO (non uomo), ovvero è completo, sia uomo che donna, non ancora soggetto alla polarità, non ancora diviso in una coppia di opposti. Egli è ancora una sola cosa con tutto (e questo stato di coscienza cosmica viene descritto con l’immagine del paradiso). Il tema della polarità, però, è già presentato dai due alberi.

Il primo racconto biblico relativo alla creazione narra solo di polarizzazioni: luce-tenebre, acqua-terra, sole-luna. Soltanto l’essere umano ci viene detto che fu creato come “uomo e donna”. Però via via che la narrazione procede il tema della polarità diventa sempre più evidente. Avviene così che Adamo sviluppa il desiderio di manifestare una parte del suo essere e di farlo divenire formalmente autonomo. Un passo simile significa già perdita di coscienza, fatto che viene espresso dicendo che Adamo cade in un sonno; Dio prende da Adamo, che è intero e sano, un lato (e non una costola come è stato tradotto) e ne fa qualcosa di autonomo. L’uomo intero e sano viene diviso in due aspetti formalmente diversi, che vengono chiamati “uomo” e “donna”. Ma questa separazione non viene completamente recepita, in quanto sono ancora nella totalità del paradiso. La separazione formale è premessa dalle lusinghe del serpente, che dice alla donna (la parte ricettiva dell’uomo), che gustando l’albero della conoscenza l’uomo avrebbe avuto la capacità di distinguere tra bene e male, avrebbe cioè acquisito la conoscenza.

Il serpente mantiene la promessa e gli esseri umani conoscono la polarità, conoscono bene e male, uomo e donna. In questo modo perdono l’unità (coscienza cosmica) e hanno la polarità (conoscenza), devono lasciare senza indugio il paradiso, il giardino dell’unità, e precipitano nel mondo polare delle forme materiali. Questa è la storia del peccato originale. Il peccato dell’uomo consiste nell’essersi separato dall’unità. Questa polarità costringe l’uomo a seguire la sua via attraverso gli opposti finchè non ha imparato e integrato tutto e può diventare “perfetto”, come è perfetto il Padre nei cieli.

Il peccato originale fa capire chiaramente che il peccato non ha nulla a che vedere con il comportamento concreto dell’uomo. Nel corso della storia la chiesa ha trasformato il concetto di peccato e insegnato all’uomo che il peccato è “male” ed è evitabile agendo in modo “corretto”. Il peccato però non è un “polo” nell’ambito della polarità, ma la polarità stessa. Il peccato perciò non è evitabile, ogni azione umana è peccato.

Per la storia del cristianesimo questo malinteso teologico del peccato ha avuto un grande peso. Il costante tentativo dei credenti di non commettere peccato ed evitare il male ha portato alla repressione di determinati aspetti classificati come “male” e di conseguenza alla creazione di un’immensa zona d’ombra.

Questa ombra ha fatto si che il cristianesimo sia diventato una delle religioni più intolleranti, responsabile dell’Inquisizione, dei roghi delle streghe e di genocidi. Il polo non vissuto si realizza sempre, esso sorprende le “anime nobili” proprio quando non se l’aspettano.

Il cristianesimo è la sola religione che ha un rappresentante del bene (Dio) e uno del male (diavolo). Facendo il diavolo l’oppositore di Dio, si è portato, senza rendersene conto, Dio nella polarità (ma in questo modo Egli perde la sua forza risanatrice). Dio è l’unità, che unisce in se tutte le polarità, e quindi anche bene e male; il diavolo è la polarità, il signore della separazione. La vera filosofia sa che in un mondo polare non si può realizzare un solo polo, in questo mondo ognuno deve pagare ogni gioia con un uguale dolore. Qualunque cosa l’uomo faccia, diviene colpevole e quindi peccatore. È importante che l’uomo impari a vivere con questa sua colpa, altrimenti diventa disonesto con se stesso. La redenzione della colpa è la conquista dell’unità, ma raggiungere l’unità è impossibile a chi cerca di evitare una metà della realtà. È questo che rende così difficile la via che porta alla salute, perché bisogna passare attraverso colpa e peccato. Nei vangeli viene continuamente descritto questo antico malinteso relativo al peccato; nel discorso della montagna Gesù smaschera l’illusione che nella polarità sia possibile evitare il peccato. Ma già 2000 anni fa l’insegnamento puro era così urtante e irritante che si cercava di eliminarlo da questo mondo. La verità irrita, da qualunque bocca venga pronunciata. Essa spazza via tutte le illusioni con le quali il nostro Io cerca di salvarsi. La verità è dura e tagliente e si adatta poco a sogni sentimentali e autoinganni moralistici.

Sappiamo molto bene che grande provocazione sia mettere in discussione la verità assoluta del fare il bene e dell’evitare il male. Sappiamo anche che questo argomento suscita paura, una paura che si può evitare se ci si attiene alle norme ritenute finora valide. Il malinteso del peccato ha prodotto in ambiente cristiano una scala di valori profondamente radicata. Il dubbio che spacca la polarità in contrari, è il “male”, e tuttavia è anche il giro vizioso necessario per capire e tornare all’unità. Per la vera conoscenza noi abbiamo bisogno di due poli, ma non dobbiamo fermarci alla loro diversità e al loro carattere opposto, ma utilizzare la loro tensione come spinta ed energia per trovare il cammino che porta all’unità. L’uomo è peccatore, è colpevole, ma proprio questa colpa lo contraddistingue, perché è il pegno della sua libertà. L’uomo deve imparare ad accettare la propria colpa senza lasciarsi travolgere da essa. La colpa dell’uomo è metafisica e non è provocata dalle sue azioni. L’ammissione della colpa libera dalla paura di diventare colpevole. La paura è limitatezza e proprio questa impedisce la necessaria apertura ed espansione. Non si sfugge alla colpa sforzandosi di fare del bene, cosa che deve sempre essere pagata con la repressione del polo opposto. Il tentativo di sfuggire alla colpa attraverso le buone opere porta soltanto alla mancanza di sincerità. La via che porta all’unità esige più di una semplice paura e una semplice fuga. Esige che noi vediamo con sempre maggiore consapevolezza la polarità in “tutto”, senza aver paura di attraversare la conflittualità dell’umana esistenza, al fine di riuscire a unire in noi gli opposti.

 

Tratto dal libro di Thorwald Dethlefsen e Rüdiger Dahlke "Malattia e destino"